La morte del grande filosofo che aprì le porte dell’America a Karol Wojtyla
Flavio Felice
La tragedia che sta colpendo il popolo ucraino e la sua eroica resistenza; le mire revansciste imperialistiche della federazione russa e l’obiettivo di ridisegnare i confini strategici continentali a 30 anni dal crollo dell’impero sovietico; i tentativi di rispondere in maniera unitaria da parte dell’Unione Europea, dribblando costituzioni nazionali e rischiando possibili incidenti che farebbero esplodere una guerra senza ritorno; la presenza di una Cina sempre più ingombrante e candidata a svolgere un ruolo di mediazione tra le liberal-democrazie occidentali e l’autocrazia della Federazione russa; una politica estera statunitense sempre più schizofrenica e oscillante tra isolazionismo e globalismo democratico, hanno riproposto un tema che sta alle fondamenta stesse del processo di integrazione europea: una unione di difesa continentale. La storia ci insegna come proprio intorno a tale questione si arenò il primo tentativo dar vita alla CED, la Comunità Europea di Difesa, proposta e affossata dalla stessa Francia tra il 1952 e il 1954.
A tal proposito, appare utile riprendere un interessante studio Pasquale Preziosa e Dario Velo: La difesa dell’Europa. La nuova difesa europea per le grandi sfide europee (Cacucci, 2019), dove gli autori affrontano il tema della difesa comune europea. Di fronte alla conclamata incapacità degli stati di rispondere alle sfide contemporanee, Velo e Preziosa propongono di estendere all’ambito della difesa il metodo monettiano di “cooperazione strutturata”. L’intento non è di mostrare come una diversa governance degli attuali stati nazionali possa rispondere alle suddette sfide, quanto proporre l’abbandono del paradigma statuale tradizionale, a favore di un nuovo paradigma dell’ordine politico.
Il presupposto di valore, caratterizzante la quota parte che l’ambito politico offre alla ricerca, mai definitiva, del bene comune, è l’ordine pubblico e la pace; di fatto, il ricorso alla guerra certifica il fallimento della politica, rispetto alle due sfide di fronte alle quali qualsiasi ordine politico internazionale è posto: la “ridefinizione della legittimità” e il “cambiamento nell’equilibrio del potere”. Per questa ragione, il tema della difesa assume un significato strategico, affinché lo stesso progetto d’integrazione europea abbia un futuro e che sia coerente con i principi di sussidiarietà, di libertà e di solidarietà: i principi, tra l’altro, sui quali si fonda l’economia sociale di mercato, il modello adottato dall’Unione Europea e sancito dall’art. 3 del Trattato di Lisbona.
Gli argomenti adottati Preziosa e Velo oscillano tra “aspirazione” e “responsabilità”, dove l’aspirazione delinea il campo dell’ideale, sempre perseguito e che mai dovremmo perdere di vista, consapevoli che mai sarà del tutto raggiunto, mentre la responsabilità interessa i mezzi a disposizione e ci invita a proseguire gradualmente, ricercando di volta in volta la soluzione possibile; è qui che si consuma lo strappo metodologico tra la prospettiva federalista radicale di Altiero Spenelli e quella di cooperazione strutturata e gradualista di Jean Monnet, rispettivamente, alla base del successo della CECA e del fallimento della CED.
Se la pace è il valore fondamentale che rende ragione dell’istituzione dell’autorità politica, la costruzione di una “nuova forma di difesa per l’Europa” potrebbe costituire un passo nel processo di nuova legittimazione dell’ordine politico europeo.
Di fronte alle difficoltà dovute al disallineamento dei processi politici rispetto a quelli economici, alla velocità decisionale dei secondi rispetto alla necessaria lentezza dei primi, la ricerca di un modello di ordine politico alternativo a quello statuale appare improrogabile. Mediante il processo d’integrazione economica, la moneta e la finanza sono diventate, via via, strumenti di un ordine tendenzialmente federale, mentre lo stesso non è avvenuto con la difesa. La proposta è di innescare un processo che possa condurre ad un modello di difesa di tipo “duale”, sull’esempio degli Stati Uniti d’America, almeno fino al secondo conflitto mondiale.
Secondo tale modello, gli stati membri conserverebbero quasi totalmente il controllo delle forze di terra e la federazione assumerebbe la responsabilità di alcuni settori particolarmente innovativi, quali, ad esempio, l’aerospazio, l’aeronautica, la ricerca, la marina e le imprese federali che operano nella difesa.
Il modello duale è la logica conseguenza di una distinzione concettuale: la differenza tra “difesa europea”, avente un significato regionale, e “difesa dell’Europa” con un significato continentale. Il modello duale andrebbe nella direzione di un’interdipendenza dei due livelli della difesa, dal momento che, mentre la “difesa europea” potrebbe essere organizzata in forma federale, la “difesa dell’Europa” farebbe perno sull’alleanza con gli Stati Uniti e potrebbe ampliarsi ad altri, sulla base di accordi con la comunità internazionale.
Il nuovo modello di autorità politica che superi l’attuale ordine statuale presume come principio ordinatore la sussidiarietà, in continuità con il processo d’integrazione europea fin qui svolto. È significativo, fanno notare Preziosa e Velo, il fatto che tale processo si sia svolto senza particolari problemi fino a quando non ha riguardato la moneta, lo strumento fondamentale attraverso il quale il modello statuale ha implementato gli ideali di centralizzazione e di egemonia. Oggi il problema si ripropone rispetto all’ipotesi di una difesa comune della comunità europea, d’altronde, “la spada e la borsa sono state sempre poteri del principe”.