La crisi della democrazia liberale
Flavio Felice
“L’Osservatore Romano”, 24 aprile 2021
Nel paragrafo 15 dell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco afferma che «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante». Il Papa sembra cogliere uno dei caratteri delle cosiddette «democrazie illiberali»: la chiusura all’altro, la paura per il diverso, la ricerca costante del capro espiatorio. Le «democrazie illiberali» sono quegli assetti istituzionali che formalmente accolgono alcuni aspetti della tradizione democratica, pur rifiutando i caposaldi della teoria politica liberale: rule of law, diritti della persona, poliarchia, libertà, uguaglianza, sovranità popolare, rappresentanza, separazione dei poteri, sovranità disarticolata.
Al termine della guerra fredda, la speranza di vedere un mondo sempre più democratico appariva solida. Gli analisti politici Ivan Krastev e Stephen Holmes in The Light that Failed. Why the West is Losing the Fight for Democracy (Pegasus Books, 2019) spiegano quanto accaduto in seguito, ricorrendo all’immagine del Pigmalione: un elegante precettore insegna le buone maniere ad una giovane e rozza fioraia.
È accaduto che la rozza fioraia, piuttosto che trasformarsi in una elegante dama, ha assunto le fattezze di Frankenstein e l’ottimismo di un futuro consegnato ai valori di libertà, di uguaglianza e di fraternità ha finito per nascondere la realtà che di lì a poco si sarebbe manifestata in tutta la sua crudezza: terrorismo, populismo, sovranismo.
In pratica, la «società aperta», presunta tappa definitiva della storia, immaginata dal politologo Francis Fukuyama, avendo raggiunto il suo apice in quanto ad intensità, si sarebbe potuta solo espandere in termini di estensione territoriale; quel sogno della «società aperta» sembra aver lasciato il campo malconcio e umiliato.
Possiamo affermare che, nel giro di tre decadi, una tale speranza sia stata travolta, mostrando la sua inconsistenza e l’inadeguatezza dei suoi valori? Credo che la risposta possa essere no. I valori sono tali non perché certificati da un’agenzia; i valori sono tali solo e soltanto nella misura in cui vengano apprezzati e qualcuno sia disposto a pagare un prezzo per la loro difesa e promozione. Così sono emersi determinati valori politici: la politica come «discussione critica su questioni di interesse comune» nella polis; la sua giuridicizzazione nella civitas romana; la sua de-sacralizzazione grazie al Cristianesimo; la nozione di rappresentanza durante l’epoca medioevale; la nascita dello Stato nella modernità; il passaggio dal “potere costituto” al “potere costituente”; il rifiuto dall’“imperium paternale” e la consapevolezza che i diritti sono la risultante di un equilibrato rapporto tra poteri.
Ebbene, tali tornanti non hanno mai rappresento il punto d’arrivo della storia, quanto una delle tante tappe. In breve, l’anima della democrazia è il suo pluralismo, il metodo che l’ha guidata fino ai nostri giorni è quello fallibilista del procedere per tentativi ed errori.
Il fatto che in ampi settori della cultura e della politica occidentali sia prevalsa l’idea che la vittoria sul sistema socialista potesse indicare la fine stessa della storia ha significato l’abbandono del pluralismo e l’assunzione della nozione di egemonia; una mutazione genetica che ha portato la democrazia a presentarsi con la stessa arroganza e fallacia metodologica con le quali il socialismo si era imposto e per le quali è fallito, mostrandosi disumano e incapace di imparare dai propri errori.
Gli studiosi Krastev e Holmes associano tale dinamismo al cosiddetto approccio mirroring (rispecchiamento), rivelatosi una delle armi geopolitiche più sofisticate e efficaci dai tempi della Guerra Fredda. Il rispecchiamento è la raffigurazione distorta dei caratteri del proprio avversario, al punto da restituirgli un’immagine così immonda di sé da far inorridire i suoi stessi simpatizzanti che, per reazione, hanno iniziato a solidarizzare con il nemico, mettendo in discussione la propria democrazia rappresentativa. Le democrazie liberali sono così costrette a fare i conti con i danni di una democrazia ridotta a procedure, assimilata per imitazione e ora rispedita deformata al mittente e utilizzata come arma di propaganda contro la stessa democrazia liberale.
Essersi illusi di aver tagliato il traguardo della storia, oltre il quale non si potesse andare, se non espandendo la propria egemonia per imitazione della struttura istituzionale, credo abbia rappresentato il più alto tradimento dei valori democratici, una mutazione genetica che è alla base della ragione per cui oggi siamo così incerti, avendo fatto entrare nella nostra cittadella democratica, antiperfettista e fallibilista, il cavallo di Troia delle democrazie illiberali; d’altronde, come giustamente ammoniva il beato Rosmini: «Chi non è padrone di sé, è facilmente occupabile».